Sino all'anno mille la maggior parte del territorio piemontese era ancora ricoperto da selve, da boschi impenetrabili,
con la presenza di alberi secolari. Non mancavano comunque gli spazi coltivati, ma erano poco numerosi, poco estesi
e concentrati in genere nelle vicinanze delle principali città.
Durante l'XI secolo, e ancor di più in quello successivo, nascono piccoli insediamenti rurali, villaggi di contadini
creati al centro di radure ricavate dal disboscamento. Al loro esterno si estendeva la fascia dei campi e poi
dei pascoli, il tutto circondato dai boschi.
Il disboscamento non fu l'unico fattore a favorire lo sviluppo agricolo di quel periodo; un notevole contributo venne
fornito da diverse innovazioni tecniche.
L'impiego del ferro al posto del legno nella costruzione degli attrezzi, come zappe e vanghe, ne aumentò notevolmente
l'efficienza. L'aratro pesante, trainato da una doppia coppia di buoi, permise una buona aratura in un unico passaggio.
Si iniziò inoltre a sfruttare l'energia idraulica: nelle segherie, nelle officine dei fabbri, nei mulini.
Un altro fattore molto importante per l'aumento della produzione fù il passaggio della rotazione dei terreni,
conosciuta da tempo e molto importante per evitare l'esaurimento degli stessi, da
biennale a triennale.
In questo modo, alternando colture di diverso tipo, a volte con semine autunnali a volte
primaverili per due anni e lasciando a riposo, a maggese (erba), il terreno nel terzo anno, si otteneva una
resa decisamente migliore.