Nel Quattrocento proseguono le gravi epidemie di Peste iniziate nella metà del secolo precedente, che furono di particolare
intensità e gravità a causa anche degli scarsi provvedimenti igienici applicati.
In linea di massima c'era la tendenza semplicemente ad 'allontanare' dalle città le persone infette, che non potevano più
entrare negli altri paesi nè ricevere ospitalità o fare acquisti, a meno che non fossero in possesso di un "bollettino"
di sanità, una specie di lasciapassare a garanzia del loro stato di salute.
I Lazzareti o appositi spazi per il ricovero e l'isolamento degli ammalati vennere istituiti solo con molto ritardo. Sono
ben pochi i casi, come quelli di Moncalieri, Chivasso o Biella, dove troviamo apposite strutture già nella metà del secolo.
La prevenzione era davvero scarsa, e si basava sulla strategia degli odori, ossia consisteva nel combattere l'atmosfera
infetta con vari profumi ed aromi, ad esempio bruciando nei camini particolari legni resinosi, come ginepro, alloro,
rosmarino.
I Savoia prima di muoversi nei propri domini inviavano sul posto i medici di corte per "visitare l'aria" ed
indagare se ci fossero gravi pericoli di contagio.
Le cure erano ancora più scarse, anche perchè i medici, in caso di contagio in una città, erano i primi a scappare lontano.
Ci si affidava così a pochi chirurgi e, sempre più spesso, ai barbieri, che da sempre praticavano anche operazioni di
bassa chirurgia.
Le poche ed inefficaci cure consistevano in salassi e purghe, con l'intento di espellere dall'organismo gli umori infetti, il
cui risultato era spesso una maggior delibitazione dell'ammalato, che spesso ne favoriva la morte.
Dal punto di vista spirituale ci si affidò ai Santi protettori, alle preghiere collettive, alle messe solenni ed ai riti
di espiazione. Ma sarà solo, anni dopo, con l'introduzione di severe norme igieniche e controllo degli alimentari che la battaglia
contro la peste inzierà ad avere un riscontro positivo.