Per gli uomini del Piemonte medioevale la foresta era una presenza costante ed assai famigliare: essa
rappresentava, oltre che una occasione di svago, anche un fondamentale strumento di sopravvivenza.
Nel Piemonte dell’VIII secolo la selva costituiva l’elemento predominante del paesaggio, sia perché la rete urbana
era molto più rada che nelle zone del centro e sud della penisola, sia perché le colture si erano notevolmente
ridotte, a causa dell’irrigidimento del clima, della grande piovosità e della scarsità di manodopera.
Le zone più boscose erano le Langhe, il Canavese, le colline del Monferrato ed il territorio
intorno a Torino.
Vivere nella foresta, all’aperto o in ripari di fortuna, era un’esperienza tutt’altro che
insolita, anche se con l’aumento degli animali selvatici, gli uomini dovettero abituarsi a convivere con cervi,
caprioli, cinghiali e dovettero fare i conti anche con pericolosi branchi di lupi.
Al di là dei pericoli, la foresta costituiva un luogo di risorse di primaria importanza. In essa, oltre ai
cacciatori, era possibile incontrare cercatori di miele e di cera selvatica.
La selva forniva legna da ardere
e tronchi per costruire, frutti selvatici di ogni tipo e veniva utilizzata come terreno di pascolo per cavalli,
vacche, capre e maiali. I maiali erano assai diffusi e venivano allevati allo stato brado dai porcari, uomini
rozzi e violenti, i cui litigi erano proverbiali e spesso terminavano nel sangue.