Emanuele Filiberto si dedicò poco alla politica estera, concentrandosi soprattutto sulla salvaguardia dei propri
confini, cercando di rafforzare le difese e rientrare in pieno possesso di tutti i territori sabaudi.
Allo stesso tempo, senza grandi risultati, cercò di instaurare buoni rapporti con i vari principi italiani.
Sebbene fosse poco incline agli studi (preferiva di gran lunga l'esercizio fisico e la pratica) cercò di potenziare
l'Università, da poco ristabilita nella capitale sabauda.
Grazie alle sue esperienze giovanili al servizio di Carlo V aveva una propensione naturale per le lingue, tanto che
parlava correntemente oltre all'italiano anche il francese e lo spagnolo. Tra i suoi principali interessi ricordiamo
anche le tecniche, l'architettura e le scienze.
Si impegnò a fondo anche per cercare di ricostruire l'economia, dando un nuovo impulso alla agricoltura, grazie anche
alla bonifica di aree paludose ed alla costruzione di una efficiente rete idrica per l'irrigazione dei campi.
La crescita della capitale Torino ed il ritorno dei nobili a corte diedero solo un piccolo impulso alle attività
produttive artigianali, mentre la lavorazione della seta ebbe un ottimo incremento, anche qualitativo.
Nonostante tutto rimanevano alcuni grandi problemi interni, in particolare i Valdesi. Dopo alcune trattative fallite
e qualche azione di guerra, si arrivò ad una pacificazione grazie alla intercessione della tollerante
duchessa Margherita.
Tra gli altri problemi più gravi ricordiamo il generale malcontento fiscale e l'aumento di omicidi ed aggressioni ad
opera dei banditi, bande armate spesso arroccate in luoghi impervi delle zone di confine.
Nel 1574 muore Margherita, ed il duca inizia a pensare alla abdicazione, dedicando i prossimi anni alla educazione e
preparazione del figlio, Carlo Emanuele, per la successione. Nonostante la sua vitalità egli era di salute cagionevole
e morì a 52 anni nel 1580.