Già pochi mesi dopo l'affissione delle tesi di Lutero alla porta della Cattedrale di Wittenberg, con cui ebbe inizio
la Riforma Protestante, molte opere del riformatore si potevano già leggere, tradotte in italiano, nella nostra
penisola, ed in primo luogo in Piemonte, incluse le valli valdesi, ancora impregnate dell'antica eresia medievale.
La diffusione della nuova dottrina eretica fu dapprima ben combattuta dai Savoia, in pieno accordo con Roma. Ma
successivamente l'occupazione francese e, in particolare, la missione di due predicatori ginevrini fecero accogliere
con entusiasmo la Riforma nelle valli Chisone e Pellice.
Ben presto i focolai protestanti si accesero in tutto il Piemonte, interessando sia il torinese che il cuneese,
compreso molti centri del Marchesato di Saluzzo, raggiungendo l'apice nel 1559.
In quello stesso anno, il duca di Savoia, Emanuele Filiberto, rientra in possesso dei territori occupati dai francesi
ed inizia l'azione repressiva nei confronti degli eretici, a partire dal focolaio più consistente rappresentato
dalle valli valdesi.
Un discreto gruppo di riformati ugonotti più e meno dichiarati rimase a lungo addirittura alla corte dei Savoia,
sotto la protezione di Margherita di Francia, moglie di Emanuele Filiberto. Il duca smantellerà la corte allontanando
dallo Stato gli scomodi personaggi solo dopo la morte della duchessa, avvenuta nel 1574.
Nel 1561, invece, con l'accordo di Cavour termina la spedizione intrapresa l'anno prima contro i Valdesi, sia per
l'inattesa resistenza delle comunità riformate, che per la intercessione della duchessa Margherita. L'accordo concedeva,
all'interno delle valli Valdesi, la libertà di culto sia per la religione cattolica che per quella riformata.
Pochi anni dopo, invece, Emanuele Filiberto cambia rotta e con un editto impone a tutti i riformati, esclusi i Valdesi,
l'abiura immediata o l'esilio, minacciando i renitenti con la confisca dei beni e la pena di morte.
Negli altri territori piemontesi ove non si applicava la legislazione sabauda, come il Marchesato di Saluzzo, pur
risentendo gli echi delle repressioni in corso nei territori vicini, venne mantenuta una certa tolleranza nei
confronti dei riformati, almeno per qualche decennio.