La crisi della grande epidemia della peste provocò un sostanziale cambiamento nella frammentazione dei terreni ed anche
nella varietà delle coltivazioni.
Sia per la crisi, sia per la morte di un gran numero di persone, le piccole proprietà in cui erano suddivisi i terreni
sino al Trecento, nel corso del XV secolo andaro pian piano quasi scomparendo, mentre aumentarono notevolmente i grandi
proprietari, con tenute spesso di varie decine di ettari.
Le proprietà, però, erano spesso frammentate in lotti non contiqui. Nel corso del secolo ci fu una azione di accorpamento,
tramite acquisizione di terre confinanti e cessione dei lotti più distanti, necessaria anche per razionalizzare e diminuire
i costi di lavorazione.
La coltura preminente, quella dei cereali, andò in crisi, in seguito alla minor richiesta dovuta al calo demografico.
Molti terreni vennero così trasformati in prati stabili destinati alla produzione del foraggio.
Ciò permise sia un minor costo della manodopera per mantenere il terreno, sia lo sviluppo dell'allevamento dei bovini da
carne, le cui esigenze alimentari sono ben superiori a quelle degli ovini, rispondendo anche alla maggior richiesta di
carne dovuta ad un generale miglioramento delle condizioni economiche.
Rimane invece molto diffusa la coltivazione della vite, anche se si assiste al progressivo passaggio dalla coltivazione
classica, con viti a spalliera sostenute da pali, a quella mista dell'alteno, ossia di viti maritate ad alberi.
In questo modo, con maggior spazio tra i filari, tra i quali si praticava la semina, era possibile usare l'aratro, il che
permetteva una minor manodopera, altrimenti necessaria per la zappatura.
Nel frattempo aumentano anche gli appezzamenti coltivati a canapa e lino e, in alcune aree, vengono coltivate piante ed
arbusti, come guado e robbia, destinati alla tintura dei tessuti.